Permissivismo vs autorevolezza: come insegnare ai bambini a perdere

Perché la sconfitta fa così male ai bambini

Ogni volta che un bambino partecipa a un gioco, crea dentro di sé un’aspettativa di successo. Se vince, riceve una scarica di gratificazione che rafforza la voglia di ripetere l’esperienza. Ma quando perde, questa gratificazione attesa viene improvvisamente negata: il cervello sperimenta una vera e propria frustrazione.

Questo meccanismo non riguarda solo i più piccoli: anche gli adulti provano rabbia o delusione quando un obiettivo sfuma. La differenza è che un adulto, almeno in teoria, possiede strumenti maturi per gestire la delusione, mentre nei bambini la parte del cervello deputata al controllo degli impulsi (la corteccia prefrontale) è ancora immatura.

Per questo, una reazione di pianto, urla o rifiuto del gioco non è segno di “capriccio”, ma una risposta del tutto naturale.

Capire questa dinamica è il primo passo per non etichettare i bambini come “viziati” o “incapaci di perdere”, ma per riconoscere che hanno bisogno di allenamento emotivo.

Permissivismo e autorevolezza: la differenza che cambia il dopo-partita

I genitori spesso oscillano tra due estremi:

  • Permissivismo: si lascia che il bambino vinca sempre, oppure si cambiano le regole pur di evitargli la frustrazione. Nel breve periodo la pace è garantita, ma a lungo andare il piccolo non impara a gestire l’imprevisto. Crescerà convinto che tutto debba andare secondo i propri desideri, rischiando di vivere male le inevitabili sconfitte della vita.
  • Autorevolezza: un equilibrio tra empatia e fermezza. Il genitore accoglie l’emozione (“capisco che sei arrabbiato”), ma mantiene le regole del gioco. Non cede alle proteste, non umilia, non punisce, ma offre al figlio la possibilità di esercitarsi nella tolleranza. Questo approccio trasmette sicurezza e aiuta il bambino a sviluppare resilienza e motivazione.

A differenza dell’autoritarismo (regole rigide, poca comprensione), l’autorevolezza educa con coerenza e calore. È proprio questa combinazione a fare la differenza.

Cosa succede nel cervello del bambino quando perde

Quando il bambino gioca, il suo cervello si prepara a ricevere gratificazione grazie al rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore del piacere e della motivazione. Se la vittoria arriva, la sensazione di soddisfazione rafforza la voglia di continuare. Se invece perde, questa attesa viene bruscamente interrotta, e il risultato è una forte frustrazione.

Tre aree cerebrali sono protagoniste di questa reazione:

  1. Amigdala – il centro delle emozioni
    Reagisce immediatamente alla sconfitta, attivando rabbia, pianto o urla. È il motore della risposta emotiva.
  2. Corteccia prefrontale – il freno emotivo
    È la parte del cervello che dovrebbe calmare l’impulso e favorire riflessione e autocontrollo. Nei bambini è ancora in maturazione: non riesce a gestire completamente l’esplosione emotiva.
  3. Striato ventrale – il circuito della ricompensa
    Qui si registra l’aspettativa di vittoria. Quando l’esito è diverso, invia un segnale di errore che alimenta la delusione.

Questa dinamica spiega perché le reazioni dei bambini siano spesso intense e sproporzionate. Non è un “capriccio”: è una risposta naturale di un cervello che sta ancora imparando a integrare emozioni e ragione.

Quando arriva la sconfitta quindi, il cervello emotivo del bambino prende il sopravvento: la parte razionale, quella che dovrebbe aiutarlo a valutare la situazione e frenare le reazioni impulsive, resta in secondo piano perché non è ancora del tutto sviluppata.

Ecco perché spiegazioni lunghe e razionali non servono nel momento caldo. Frasi come “non ti devi arrabbiare” o “è solo un gioco” rischiano di aumentare la frustrazione, perché il bambino non è in grado di recepirle mentre è sopraffatto dalle emozioni.

In quel momento, la strategia vincente è contenere l’emozione con la presenza, la calma e poche parole semplici, rimandando eventuali spiegazioni a quando il piccolo sarà più tranquillo.

Il metodo autorevole in 5 mosse

1. Prepara il terreno (prima del gioco)

Stabilisci insieme a tuo figlio alcune regole chiare e brevi. Ad esempio: “giochiamo tre manche” oppure “chi perde stringe la mano a chi vince”. Questo crea un quadro prevedibile che riduce lo stress.

Spiega anche cosa succede in caso di arrabbiatura: “se ti agiti, facciamo una pausa e poi ripartiamo”. In questo modo il bambino sa già cosa aspettarsi.

2. Regola l’intensità

Non tutti i giochi hanno lo stesso impatto emotivo. All’inizio è meglio scegliere attività in cui la vittoria e la sconfitta non siano drastiche (giochi di carte, percorsi brevi, sfide cooperative).

Un altro trucco è alternare le vittorie: lascia che il bambino sperimenti sia la gioia di vincere che la difficoltà di perdere. Se perde sempre, rischia di demotivarsi; se vince sempre, non allena la resilienza.

3. Co-regola l’emozione (durante la crisi)

Se esplode la rabbia, mantieni la calma. La tua tranquillità è il miglior “regolatore esterno”. Evita rimproveri o ironia, che aumentano il senso di ingiustizia.

Frasi brevi come “vedo che sei arrabbiato” o “facciamo un respiro insieme” aiutano il bambino a sentirsi compreso. Se serve, proponi una pausa breve: un minuto lontano dal gioco per permettere all’emozione di scendere di intensità.

4. Rientra al gioco (dopo la calma)

Una volta tornata la tranquillità, è importante riprendere il gioco. In questo modo il bambino capisce che la rabbia non interrompe definitivamente le attività, ma che è possibile gestirla e andare avanti.

Puoi rinforzare positivamente: “ti sei calmato, ora possiamo continuare”. Questo dà valore al comportamento di autoregolazione.

5. Consolida (a freddo)

Dopo il gioco, quando l’emozione è svanita, prenditi un momento per rileggere insieme l’esperienza. Chiedi: “cosa ti ha aiutato a calmarti?”. Così il bambino inizia a costruire un piccolo bagaglio di strategie personali.

Puoi proporre micro-obiettivi: “la prossima volta proviamo a respirare subito invece di urlare”. Piccoli passi, consolidati nel tempo, portano a grandi risultati.

Frasi utili: brevi, chiare, rispettose

  • “Capisco che ti dia fastidio perdere, succede anche a me.”
  • “Facciamo una pausa e poi ripartiamo.”
  • “La rabbia ti sta dando energia, usiamola per concentrarci.”
  • “Le regole non cambiano, ma io resto con te.”
  • “Hai gestito bene la rabbia: bravo per essere tornato a giocare.”

Queste frasi validano l’emozione senza giustificare comportamenti eccessivi, mantenendo equilibrio tra empatia e fermezza.

Errori comuni da evitare

  • “Sermoni” nel momento sbagliato: il bambino non ascolta mentre è sopraffatto.
  • Permissivismo mascherato da empatia: cambiare regole o far vincere sempre.
  • Punizioni severe: aumentano il senso di ingiustizia.
  • Sminuire le emozioni: “è solo un gioco” fa sentire il bambino non compreso.
  • Chiudere il gioco definitivamente: insegna a fuggire dalla difficoltà, non a gestirla.

Allenamenti semplici per aumentare la tolleranza alla sconfitta

  • Best-of-3: partite brevi con possibilità di rivincita.
  • Scala della calma: il bambino indica su una scala da 0 a 10 quanto è arrabbiato, e pensa a un’azione per scendere di un punto.
  • Timer di recupero: usa una clessidra o un timer per dare alla rabbia un “tempo” limitato.
  • Giochi cooperativi alternati a competitivi: allenano sia l’agonismo che la collaborazione.
  • Diario delle progressioni: annotate i piccoli successi, per valorizzare i miglioramenti.

Età e aspettative realistiche

  • 3–5 anni: è normale che reagiscano con pianti e urla. Servono giochi brevi e rituali di calma.
  • 6–8 anni: si possono introdurre tecniche di autoregolazione (respiro, contare al contrario).
  • 9+ anni: è possibile lavorare su fair play e auto-dialogo positivo (“oggi ho perso, ma posso migliorare”).

Adattare le aspettative all’età è fondamentale per evitare richieste irrealistiche.

Quando preoccuparsi e cosa osservare

Se il bambino reagisce sempre con scoppi di rabbia distruttiva, rifiuta in blocco i giochi competitivi o manifesta ansia eccessiva prima di iniziare a giocare, può essere utile chiedere il supporto di un professionista. Non si tratta di “colpa” dei genitori o del bambino: semplicemente è un segnale che serve un aiuto mirato per sviluppare competenze emotive più solide.

Mini-checklist per genitori autorevoli

  • Regole stabilite prima del gioco
  • Pausa breve senza punizione
  • Ripresa garantita dopo la calma
  • Lode per lo sforzo, non solo per il risultato
  • Difficoltà calibrata in modo progressivo
  • Coerenza e presenza costante

Possiamo concludere che insegnare a un bambino a perdere non significa obbligarlo a soffrire, né proteggerlo da ogni delusione. Significa accompagnarlo passo dopo passo in un percorso in cui impara che la frustrazione può essere riconosciuta, accolta e superata.

Con uno stile educativo autorevole, basato su regole chiare, empatia e gradualità, la sconfitta diventa una palestra per sviluppare resilienza, autocontrollo e spirito sportivo.

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