
Ogni volta che un bambino partecipa a un gioco, crea dentro di sé un’aspettativa di successo. Se vince, riceve una scarica di gratificazione che rafforza la voglia di ripetere l’esperienza. Ma quando perde, questa gratificazione attesa viene improvvisamente negata: il cervello sperimenta una vera e propria frustrazione.
Questo meccanismo non riguarda solo i più piccoli: anche gli adulti provano rabbia o delusione quando un obiettivo sfuma. La differenza è che un adulto, almeno in teoria, possiede strumenti maturi per gestire la delusione, mentre nei bambini la parte del cervello deputata al controllo degli impulsi (la corteccia prefrontale) è ancora immatura.
Per questo, una reazione di pianto, urla o rifiuto del gioco non è segno di “capriccio”, ma una risposta del tutto naturale.
Capire questa dinamica è il primo passo per non etichettare i bambini come “viziati” o “incapaci di perdere”, ma per riconoscere che hanno bisogno di allenamento emotivo.
I genitori spesso oscillano tra due estremi:
A differenza dell’autoritarismo (regole rigide, poca comprensione), l’autorevolezza educa con coerenza e calore. È proprio questa combinazione a fare la differenza.
Quando il bambino gioca, il suo cervello si prepara a ricevere gratificazione grazie al rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore del piacere e della motivazione. Se la vittoria arriva, la sensazione di soddisfazione rafforza la voglia di continuare. Se invece perde, questa attesa viene bruscamente interrotta, e il risultato è una forte frustrazione.
Tre aree cerebrali sono protagoniste di questa reazione:
Questa dinamica spiega perché le reazioni dei bambini siano spesso intense e sproporzionate. Non è un “capriccio”: è una risposta naturale di un cervello che sta ancora imparando a integrare emozioni e ragione.
Quando arriva la sconfitta quindi, il cervello emotivo del bambino prende il sopravvento: la parte razionale, quella che dovrebbe aiutarlo a valutare la situazione e frenare le reazioni impulsive, resta in secondo piano perché non è ancora del tutto sviluppata.
Ecco perché spiegazioni lunghe e razionali non servono nel momento caldo. Frasi come “non ti devi arrabbiare” o “è solo un gioco” rischiano di aumentare la frustrazione, perché il bambino non è in grado di recepirle mentre è sopraffatto dalle emozioni.
In quel momento, la strategia vincente è contenere l’emozione con la presenza, la calma e poche parole semplici, rimandando eventuali spiegazioni a quando il piccolo sarà più tranquillo.
Stabilisci insieme a tuo figlio alcune regole chiare e brevi. Ad esempio: “giochiamo tre manche” oppure “chi perde stringe la mano a chi vince”. Questo crea un quadro prevedibile che riduce lo stress.
Spiega anche cosa succede in caso di arrabbiatura: “se ti agiti, facciamo una pausa e poi ripartiamo”. In questo modo il bambino sa già cosa aspettarsi.
Non tutti i giochi hanno lo stesso impatto emotivo. All’inizio è meglio scegliere attività in cui la vittoria e la sconfitta non siano drastiche (giochi di carte, percorsi brevi, sfide cooperative).
Un altro trucco è alternare le vittorie: lascia che il bambino sperimenti sia la gioia di vincere che la difficoltà di perdere. Se perde sempre, rischia di demotivarsi; se vince sempre, non allena la resilienza.
Se esplode la rabbia, mantieni la calma. La tua tranquillità è il miglior “regolatore esterno”. Evita rimproveri o ironia, che aumentano il senso di ingiustizia.
Frasi brevi come “vedo che sei arrabbiato” o “facciamo un respiro insieme” aiutano il bambino a sentirsi compreso. Se serve, proponi una pausa breve: un minuto lontano dal gioco per permettere all’emozione di scendere di intensità.
Una volta tornata la tranquillità, è importante riprendere il gioco. In questo modo il bambino capisce che la rabbia non interrompe definitivamente le attività, ma che è possibile gestirla e andare avanti.
Puoi rinforzare positivamente: “ti sei calmato, ora possiamo continuare”. Questo dà valore al comportamento di autoregolazione.
Dopo il gioco, quando l’emozione è svanita, prenditi un momento per rileggere insieme l’esperienza. Chiedi: “cosa ti ha aiutato a calmarti?”. Così il bambino inizia a costruire un piccolo bagaglio di strategie personali.
Puoi proporre micro-obiettivi: “la prossima volta proviamo a respirare subito invece di urlare”. Piccoli passi, consolidati nel tempo, portano a grandi risultati.
Queste frasi validano l’emozione senza giustificare comportamenti eccessivi, mantenendo equilibrio tra empatia e fermezza.
Adattare le aspettative all’età è fondamentale per evitare richieste irrealistiche.
Se il bambino reagisce sempre con scoppi di rabbia distruttiva, rifiuta in blocco i giochi competitivi o manifesta ansia eccessiva prima di iniziare a giocare, può essere utile chiedere il supporto di un professionista. Non si tratta di “colpa” dei genitori o del bambino: semplicemente è un segnale che serve un aiuto mirato per sviluppare competenze emotive più solide.
Possiamo concludere che insegnare a un bambino a perdere non significa obbligarlo a soffrire, né proteggerlo da ogni delusione. Significa accompagnarlo passo dopo passo in un percorso in cui impara che la frustrazione può essere riconosciuta, accolta e superata.
Con uno stile educativo autorevole, basato su regole chiare, empatia e gradualità, la sconfitta diventa una palestra per sviluppare resilienza, autocontrollo e spirito sportivo.