
Il disturbo da attacchi di panico è caratterizzato da ondate improvvise di paura intensa che arrivano senza un pericolo reale, ma che il corpo vive come un allarme vero e proprio. In pochi minuti compaiono sintomi fisici marcati e pensieri catastrofici; dopo le prime crisi, il timore che si ripetano può cambiare le abitudini quotidiane e restringere la libertà personale.
È utile ricordare che non va confuso con l’ansia generalizzata: nel panico parliamo di picchi acuti e brevi, mentre l’ansia è un’attivazione più diffusa e costante. Le due condizioni possono coesistere, ma hanno dinamiche diverse.
Un attacco di panico si manifesta all’improvviso con palpitazioni, sudorazione, tremori, fiato corto o sensazione di soffocare, dolore o oppressione al petto, vertigini o nausea.
Sul piano mentale è frequente la paura di perdere il controllo, impazzire o addirittura morire.
La crisi raggiunge il picco in pochi minuti e poi si attenua, ma può lasciare stanchezza e agitazione residua. Ciò che spesso mantiene il problema nel tempo è la paura della paura: l’ansia di avere un nuovo attacco spinge a controllare il corpo in modo ossessivo e a evitare luoghi o situazioni considerate “rischiose”.
Quando la preoccupazione diventa costante, nasce l’ansia anticipatoria: uno stato di allerta che “prepara” il corpo all’attacco anche in assenza di pericolo. Nei casi più severi può comparire agorafobia, cioè il timore di trovarsi in spazi da cui sarebbe difficile allontanarsi o ricevere aiuto (mezzi pubblici, centri commerciali, code), con un impatto significativo su lavoro, relazioni e qualità di vita.
Non esiste una sola causa. Il disturbo da panico emerge dall’interazione tra vulnerabilità individuale e fattori di vita:
Esperienze stressanti o traumatiche non pienamente elaborate possono “alzare” il livello di allarme interno.
Componenti genetiche e biologiche contribuiscono alla sensibilità del sistema nervoso che regola paura e stress.
Disturbi d’ansia preesistenti e uso di sostanze (in particolare stimolanti) aumentano il rischio di crisi.
Cambiamenti importanti – un nuovo lavoro, una relazione che inizia o finisce, responsabilità improvvise, malattie – possono fungere da innesco.
In sintesi, il panico è il risultato di un sistema d’allarme che si attiva troppo e troppo in fretta. Riconoscerne i meccanismi, distinguendolo dall’ansia generalizzata, è il primo passo per scegliere un percorso terapeutico mirato e tornare a muoversi con sicurezza nella propria quotidianità.
L’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è un approccio psicoterapeutico che mira a sciogliere i blocchi emotivi legati a esperienze traumatiche o stressanti, aiutando la mente a rielaborarle in modo più adattivo.
È particolarmente utile nel disturbo da attacchi di panico, dove alla base dei sintomi si trovano spesso ricordi emotivi non integrati: momenti di forte paura, vulnerabilità o perdita di controllo che continuano, a distanza di tempo, a “riaccendere” il sistema d’allarme interno.
Quando questi ricordi non vengono elaborati del tutto, rimangono come impronte congelate nella memoria, pronte a riattivarsi di fronte a stimoli simili — un odore, un luogo, un pensiero — e a generare nuove crisi di panico.
Con un percorso strutturato, l’EMDR aiuta il cervello a rielaborare quei ricordi, riducendone la carica emotiva e modificando il modo in cui vengono percepiti. Di conseguenza, la persona può finalmente disinnescare le risposte automatiche di paura e tornare a vivere le situazioni che prima temeva con maggiore sicurezza.
L’EMDR nasce alla fine degli anni ’80 grazie alla psicologa Francine Shapiro, inizialmente per il trattamento del Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD). Il suo principio di base si fonda sul modello dell’Elaborazione Adattiva dell’Informazione (AIP).
Secondo questo modello, la mente possiede un sistema naturale di elaborazione delle esperienze: normalmente, ogni evento vissuto viene “digerito” e archiviato in modo funzionale, così che diventi un ricordo neutro o addirittura fonte di apprendimento.
Quando però un evento è troppo intenso o destabilizzante — come una crisi di panico improvvisa, un lutto, un incidente o un periodo di forte stress — questo processo si blocca. Le immagini, le sensazioni fisiche e le emozioni associate rimangono “intrappolate” nel sistema nervoso, come se fossero ancora presenti e reali.
In terapia EMDR, il paziente viene guidato a rievocare queste memorie mentre si attiva una stimolazione bilaterale alternata (ad esempio con movimenti oculari guidati, tapping sulle mani o suoni alternati nelle orecchie). Questa stimolazione sembra facilitare una comunicazione più fluida tra gli emisferi cerebrali, aiutando il cervello a completare l’elaborazione interrotta e a collocare il ricordo nel passato.
Il risultato è che l’evento non viene dimenticato, ma cessa di evocare lo stesso grado di paura o allarme, diventando finalmente “neutro”.
Nel disturbo da attacchi di panico, la persona tende a vivere i propri sintomi come minacce immediate alla sopravvivenza (“Sto per morire”, “Sto per impazzire”, “Sto perdendo il controllo”).
Molto spesso, questi pensieri non nascono dal nulla: derivano da un primo episodio particolarmente spaventoso, da eventi stressanti precedenti o da esperienze di vulnerabilità emotiva che non sono mai state realmente elaborate.
L’EMDR lavora esattamente su queste esperienze radice. Attraverso il processo di desensibilizzazione e rielaborazione, il terapeuta accompagna il paziente nel rivivere il ricordo in modo sicuro e controllato, favorendo la riorganizzazione dell’informazione a livello emotivo e cognitivo.
Quando la memoria traumatica perde la sua intensità, si riduce anche la risposta di paura automatica: il corpo non “scatta” più come se fosse in pericolo, e l’ansia anticipatoria tende a diminuire.
Un altro vantaggio dell’EMDR è la sua personalizzazione: non esiste un protocollo rigido, ma un percorso costruito sulla base della storia individuale del paziente, della sua capacità di tollerare l’attivazione emotiva e dei suoi obiettivi terapeutici.
Questo lo rende adatto anche a persone che faticano a verbalizzare il proprio vissuto o che trovano difficile affrontare percorsi basati esclusivamente sul dialogo.
La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) è, insieme all’EMDR, uno dei metodi più utilizzati per il trattamento del disturbo da panico. Tuttavia, i due approcci operano su piani differenti.
La CBT agisce sui pensieri e sui comportamenti che mantengono il disturbo: aiuta il paziente a riconoscere le interpretazioni catastrofiche (“Sto per svenire”, “Non riuscirò a scappare”), a ristrutturarle in modo più realistico e a esporsi gradualmente alle situazioni temute, fino a ridurre l’evitamento.
L’EMDR, invece, interviene a monte del problema, sul modo in cui la mente ha registrato e conservato determinate esperienze. Non lavora tanto sulle convinzioni razionali, quanto sulla memoria emotiva e sul modo in cui il cervello reagisce automaticamente a stimoli percepiti come pericolosi.
Un ulteriore aspetto distintivo è che, durante l’EMDR, non è necessario raccontare nei dettagli l’evento traumatico: il focus non è la narrazione, ma il processo interno di rielaborazione. Ciò lo rende particolarmente adatto a chi prova disagio nel descrivere esperienze dolorose o teme di riviverle troppo intensamente.
Nella pratica clinica moderna, molti terapeuti integrano EMDR e CBT: unendo la profondità neuro-emotiva dell’EMDR con la struttura cognitiva e comportamentale della CBT, si ottiene un intervento più completo e duraturo.
Un percorso di terapia EMDR non è improvvisato: segue un protocollo preciso e allo stesso tempo flessibile, che si adatta alle caratteristiche e alla storia di ciascun paziente.
Nel caso del disturbo da attacchi di panico, l’obiettivo è duplice: ridurre l’attivazione fisiologica che accompagna gli episodi di panico e rielaborare i ricordi o le esperienze che hanno dato origine o rinforzato il disturbo.
Ogni fase del trattamento contribuisce a creare le condizioni di sicurezza necessarie per affrontare ciò che la mente ha evitato fino a quel momento.
Il percorso inizia con una valutazione approfondita: il terapeuta raccoglie la storia personale e clinica del paziente, esplorando il momento in cui si sono manifestati i primi attacchi di panico, le situazioni che li scatenano, i pensieri che li accompagnano e le strategie di evitamento messe in atto nel tempo.
Si indagano anche eventuali eventi stressanti o traumatici precedenti — come lutti, malattie, separazioni, incidenti o esperienze di impotenza — che potrebbero aver lasciato una traccia emotiva ancora attiva.
L’obiettivo non è rivangare il passato, ma ricostruire il filo conduttore che collega quei momenti al disagio attuale.
Durante questa fase, il terapeuta valuta anche la capacità del paziente di gestire l’attivazione emotiva (detta “finestra di tolleranza”) e individua le sue risorse interne: persone di fiducia, luoghi sicuri, ricordi positivi che potranno essere utilizzati come ancore di stabilità durante la rielaborazione.
Prima di iniziare la rielaborazione vera e propria, il terapeuta dedica del tempo alla preparazione emotiva e informativadel paziente.
Viene spiegato come funziona il disturbo da panico — cosa accade nel cervello e nel corpo durante un attacco, perché il sistema nervoso reagisce in modo sproporzionato e come il meccanismo della paura si autoalimenta.
Capire ciò che si prova è già di per sé un atto terapeutico: dà senso al sintomo e restituisce controllo.
Parallelamente, il paziente apprende strategie di autoregolazione utili a gestire l’ansia acuta, come la respirazione diaframmatica, le tecniche di grounding (radicamento nel presente) o esercizi di consapevolezza corporea.
Questa fase serve anche a creare alleanza terapeutica: il paziente deve sentirsi protetto, capito e accompagnato. Solo così potrà affrontare i ricordi più difficili senza sentirsi sopraffatto.
La preparazione, quindi, è una sorta di “allenamento emotivo” che stabilisce il terreno sicuro su cui si costruirà tutto il lavoro successivo.
È il cuore del metodo EMDR, la fase in cui avviene il cambiamento profondo.
Attraverso la stimolazione bilaterale — che può avvenire con movimenti oculari, tapping (tocchi alternati su mani o spalle) o stimoli uditivi — il paziente viene guidato a contattare le immagini, le sensazioni fisiche e i pensieri legati al ricordo disturbante.
Può trattarsi del primo attacco di panico, di un’esperienza di forte paura vissuta in passato o di un evento di vita percepito come minaccioso o schiacciante.
Durante la seduta, la mente “lavora” in modo simile a quanto accade durante il sonno REM: elabora, collega, integra. Le emozioni si attenuano gradualmente, e l’esperienza assume un nuovo significato.
Per esempio, la convinzione “sto per morire” può trasformarsi in “quello era un momento di paura, ma ora sono al sicuro e so cosa mi sta accadendo”.
Ogni passaggio viene monitorato dal terapeuta, che calibra la stimolazione per mantenere il paziente all’interno di una soglia di attivazione gestibile.
La rielaborazione completa può richiedere diverse sedute, a seconda della complessità e del numero di ricordi da affrontare.
Quando la carica emotiva associata ai ricordi si riduce, il lavoro si sposta verso il consolidamento dei risultati.
In questa fase si rafforzano le risorse positive emerse durante la terapia: calma, fiducia, senso di padronanza e sicurezza. Si lavora su strategie pratiche di coping per affrontare eventuali situazioni future che potrebbero riattivare l’ansia.
Il terapeuta e il paziente rivedono insieme i progressi fatti, identificando i cambiamenti concreti: minore frequenza degli attacchi, aumento della capacità di uscire di casa, maggiore serenità nelle relazioni o nel lavoro.
Spesso vengono programmati incontri di follow-up a distanza di alcune settimane o mesi, per consolidare i miglioramenti e monitorare la stabilità nel tempo.
L’obiettivo finale è che la persona diventi autonoma nella gestione delle proprie emozioni, sentendosi capace di affrontare la vita senza più temere il ritorno del panico.
Il trattamento EMDR non è solo una tecnica, ma un viaggio di riconnessione con se stessi.
Nel disturbo da attacchi di panico, questa terapia aiuta a riconoscere che il corpo non è un nemico, ma un alleato che ha reagito con paura di fronte a qualcosa che, un tempo, sembrava troppo grande da sopportare.
Attraverso la rielaborazione e il consolidamento, la mente impara a distinguere il passato dal presente, e il corpo ritrova la calma naturale che aveva perduto.
Con il tempo, ciò che prima evocava terrore diventa solo un ricordo lontano, privo di potere.
È questo, in fondo, il vero scopo dell’EMDR: liberare la persona dal peso del passato per restituirle la possibilità di vivere pienamente il presente.
Uno degli aspetti più significativi dell’EMDR è la rapidità con cui molte persone sperimentano un cambiamento concreto e misurabile.
Nel disturbo da attacchi di panico, i benefici non si limitano alla riduzione dei sintomi, ma coinvolgono in modo profondo la qualità di vita, la fiducia in sé e la capacità di affrontare l’ansia senza più esserne sopraffatti.
Dopo alcune sedute, molti pazienti riferiscono una diminuzione dell’intensità e della frequenza degli attacchi di panico, una maggiore stabilità emotiva e una riduzione dell’ansia anticipatoria — quella paura costante che l’attacco possa tornare da un momento all’altro.
Il corpo, che prima reagiva come se fosse in pericolo, impara gradualmente a riconoscere che non lo è più.
Anche i pensieri catastrofici (“sto per morire”, “sto perdendo il controllo”) perdono forza, lasciando spazio a un senso di calma e di padronanza di sé.
Con il tempo, le situazioni che prima erano evitate — come viaggiare, parlare in pubblico o restare soli — tornano a essere vissute con maggiore libertà. Il miglioramento non riguarda solo l’assenza del sintomo, ma una trasformazione del rapporto con se stessi: la persona impara ad ascoltare il proprio corpo con fiducia, non con paura.
L’efficacia dell’EMDR nel trattamento del disturbo da attacchi di panico è oggi confermata da numerose ricerche internazionali.
Studi controllati e meta-analisi (Faretta, 2013; Horst et al., 2017; İzmir et al., 2023) hanno dimostrato che questo approccio è altrettanto efficace della terapia cognitivo-comportamentale (CBT), considerata da anni il trattamento di riferimento per i disturbi d’ansia.
In particolare:
gli studi mostrano una significativa riduzione dei sintomi di panico, ansia e disagio associato, sia negli adulti che negli adolescenti;
in diversi casi, l’EMDR ha prodotto un miglioramento più rapido rispetto ad altri interventi, con una riduzione dei sintomi già dopo 10–15 sedute;
i benefici tendono a mantenersi nel tempo, con bassi tassi di ricaduta e un aumento della qualità di vita percepita.
Le ricerche suggeriscono che, nei pazienti in cui il panico è collegato a eventi traumatici o periodi di forte stress emotivo, l’EMDR può offrire un vantaggio specifico, poiché lavora esattamente sul nodo traumatico che alimenta la risposta di paura.
Il percorso EMDR ha una durata variabile: nei casi più semplici possono bastare poche settimane, mentre nei disturbi più complessi — soprattutto se accompagnati da altre forme d’ansia o da traumi multipli — il trattamento richiede un periodo più lungo.
In generale, si osserva una riduzione significativa dei sintomi tra la decima e la quindicesima seduta, con un effetto stabile nei mesi successivi.
La stabilità dei risultati è uno dei punti di forza del metodo: una volta rielaborate le esperienze traumatiche, la mente non ha più bisogno di difendersi con reazioni di allarme sproporzionate.
Le nuove connessioni create durante la terapia restano attive, rendendo più difficile che il panico si ripresenti con la stessa intensità.
Superare gli attacchi di panico con l’aiuto dell’EMDR significa riconquistare autonomia e libertà.
Le persone che completano il percorso riportano una maggiore sicurezza nelle relazioni, un miglior rendimento lavorativo o scolastico e una sensazione di fiducia nella propria capacità di gestire le emozioni.
In molti casi, si osserva anche una riduzione di sintomi depressivi che spesso accompagnano il panico e l’ansia cronica.
Ma forse il beneficio più importante è la nuova percezione di sé: il panico non è più vissuto come una minaccia incontrollabile, bensì come un segnale del corpo che si è imparato a comprendere.
Da quel punto in poi, la paura smette di essere un nemico e torna a essere un’emozione umana, utile e gestibile.
L’EMDR e la terapia cognitivo-comportamentale non sono in contrapposizione: sempre più professionisti scelgono di integrare i due approcci, combinando il lavoro di rielaborazione delle memorie traumatiche con quello di educazione cognitiva e prevenzione delle ricadute.
Questa integrazione offre un equilibrio ideale tra profondità e praticità, affrontando sia le cause profonde del disturbo sia le strategie quotidiane per gestirlo.
In sintesi, l’EMDR rappresenta oggi una delle metodiche più efficaci e validate scientificamente per affrontare gli attacchi di panico.
Il suo punto di forza è l’approccio globale: non si limita a spegnere i sintomi, ma aiuta la mente e il corpo a riscrivere il modo in cui percepiscono la paura, restituendo alla persona il senso di padronanza e serenità che il panico aveva sottratto.
Superare gli attacchi di panico non significa solo smettere di aver paura, ma imparare a guardarla in modo diverso.
L’EMDR accompagna in questo processo con delicatezza e rigore, trasformando la memoria del pericolo in una consapevolezza nuova, stabile e liberatoria.
Seduta dopo seduta, la mente ricostruisce la propria narrazione, il corpo torna a respirare senza timore, e la persona può finalmente vivere con la sicurezza di essere tornata padrona di sé.
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